MARINETTI, PIRANDELLO E IL TEATRO FUTURISTA

Si affermava in quello che può essere considerato il primo documento futurista sul teatro - Manifesto dei drammaturghi futuristi (1911) – che l’arte drammatica deve tendere “ad una sintesi della vita nelle sue linee più tipiche e significative”, e che “non può esistere arte drammatica senza poesia, cioè senza sintesi”. Per contro venivano prese di mira le ricostruzioni storiche, e si rifiutavano Enrico Corradini e Gabriele D’Annunzio, mentre fondamentale doveva essere “il disprezzo del pubblico”.

E’ dall’esigenza di sintesi, e dall’atteggiamento aggressivo nei confronti del pubblico, che nasce concretamente il teatro sintetico futurista. “La reazione degli spettatori – dichiarò Remo Chiti (cfr. il suo libro postumo La vita si fa da sé) – creava un modello di serata (al Costanzi di Roma) che puntualmente si ripeté in altre città”. “Martinetti improvvisava ad ogni recita , unica nelle varie piazze, discorsi meravigliosi, entusiasmanti. Quindi veniva la declamazione di liriche (quasi tutte in prosa). E infine si iniziava la serie delle sintesi teatrali”. Prime forme di teatro astratto sono nei drammi cromatici di Ginna e Corra, Balla e Depero. Se ne trova una brillante teorizzazione nel trattato Arte dell’avvenire (1910) di Ginna e Corra, i quali realizzarono anche film astratti, come testimonia lo scritto di Corra Musica cromatica (1912).

In teatro le prime sperimentazioni furono di Balla (Feu d’artifice su musica di Strawinski; il progetto di Ballo tipografico). Sorse anche il progetto, non portato a termine, di Uccello del paradiso nel quadro dei balletti di Diaghilev, con le scene e i costumi di Depero. Gli scrittori, dal canto loro, cominciarono a creare i testi. Martinetti, scorciando Poupèes èlèctriques e cavandone Elettricità sessuale (1914), si avviava decisamente verso il teatro sintetico, il cui manifesto, a firma Martinetti, Settimelli, Corra, venne lanciato nel 1915. un contributo di estrema importanza allo sviluppo del teatro d’avanguardia, è il Manifesto del Teatro di Varietà, pubblicato nell’ottobre 1913 su Lacerba e nel novembre 1913 sul Daily Mal di Londra.

Il teatro contemporaneo (versi, prosa e musica) oscilla stupidamente tra la ricostruzione storica e la riproduzione fotografica della nostra vita quotidiana, dice Martinetti nel Manifesto del Teatro di Varietà. “E’ minuzioso, lento, analitico, diluito”. Il Teatro di varietà, nato dall’elettricità, privo di tradizione, di maestri e di dogmi, nutrito di attualità, può avere le qualità suscettibili di far nascere un teatro nuovo. Martinetti vi vede l’aspetto pratico, in quanto è un teatro che si propone di divertire; inventivo, perché gli è vietato arrestarsi e ripetersi; meraviglioso, prodotto dai meccanismi moderni e dal cinema.

Il meraviglioso futurista nasce dalla caricatura, dal ridicolo, dall’ironia, dalla satira, dall’analogia, dal cinismo, dall’assurdo, dai nuovi significati della luce, del suono, del rumore e della parola, dall’accumulazione di eventi, dal dinamismo. La caricatura del dolore, la gravità ridicolizzata, il camuffamento del bizzarro, costituiscono il grottesco futurista. Il pubblico è visto come collaboratore dell’azione. L’azione si svolge sulla scena, nelle quinte e nella sala. Gli attori da prendere in esempio sono l’inesauribile Fregoli, maestro di trasformazioni-lampo, e il beffardo, dissacrante Petrolini.

Il Teatro di varietà futurista è antiaccademico, primitivo e ingenuo. Distrugge il solenne, il sacro, il serio, il sublime. Alla psicologia, oppone la fisicofollia. Alla logica, l’inverosimile. Il capolavoro viene ridotto a numero eccentrico, trovata, attrazione. La sorpresa è sovrana. L’arte classica è prostituta, condensata, comicamente manipolata. I grandi melodrammi sono vivificati dalle canzoni. “Eseguire una sinfonia di Beethoven a rovescio”. “Ridurre Shakespeare a un solo atto”. “Fare recitare Ernani da attori chiusi in sacchi fino al collo”. (Chi non penserà alla Giara di Pirandello ed a Fine di partita di Beckett?).

Nel 1915, col Teatro sintetico, i futuristi passano ad una fase attiva più concreta, in un processo di negazioni e di affermazioni. Il teatro sintetico è contro “la farsa, il vaudeville, la pochade, la commedia, il dramma e la tragedia”. Crea nuove forme, nuove “istituzioni”: “le battute in libertà, la simultaneità, la compenetrazione, il poemetto animato, la sensazione sceneggiata, l’ilarità dialogata, l’atto negativo, la battuta riecheggiata, la discussione extralogica, la deformazione sintetica, lo spiraglio scientifico”.

Dalla sua produzione, sia quella raccolta nei due volumi il teatro futurista sintetico (1915 e 1916) che quella successiva, sparsa in periodici o libri isolati (anche raccolta nel mio Teatro italiano d’avanguardia) si può constatare l’esistenza di numerosi filoni, di differenti tendenze. Più precisamente (e si veda l’analisi critica di Teatro del tempo futurista) si possono distinguere: teatro futurista grottesco ed eccentrico, teatro dell’assurdo, teatro occultista e magico, teatro astratto, teatro filmico e visionino, teatro ideologico e polemico, teatro futurespressionista.

Il teatro grottesco ed eccentrico si muove in due direzioni: di conte-stazione dei modelli letterari (il teatro borghese, quello pseudopoetico, quello storico – contro il quale aveva già condotto una campagna la rassegna fiorentina “La difesa dell’arte”, diretta di Virginio Scattolini e alla quale collaboravano Carli, Settimelli, A. Viviani, Corra), e di contestazione dei modelli della realtà (la famiglia, il matrimonio, la vita passatista). Al teatro dell’assurdo sono da riportare Flirt di Volt, L’ostinazione della morte di Dessy. Un senso di “magico” e dell’ “occulto” è in Davanti alla finestra e in Uno sguardo dentro di noi di Ginna. Si è nel puro astratto di colori e/o rumori con Colori di Depero, Per comprendere il pianto di Balla, Lotta di fondali di Martinetti. Prototipi di teatro filmico e visionino sono prima in Costruzioni e Parole di Chiti (come esempi di montaggio), in La camera dell’ufficiale di Martinetti. La pazzia e La Tradotta di Dessy (come brevi scenari di film), e così pure in alcune sintesi di Rognoni (Domenica, Piazza di paese).

Teatro ideologico e polemico è Giallo e nero di Chiti, antiasburgico, ma con caratteristiche anche occultiste: l’autore lo definisce infatti “dramma da incubo telepatico”. E teatro futurespressionista, cioè di un futurismo che si è inserito nel mondo germanico, è quello di Ecce Homo e Anarchie di Vasari; che non fece parte del primo gruppo di autori del Teatro Sintetico, e più tardi creò il “ciclo delle macchine” (Angoscia delle macchine, 1925; Raun, 1993) oltre che assecondare il Teatro del Colore di Achille Ricciardi, per cui scrisse, nel 1921, Tung Ci.

Al Teatro Sintetico aderì Pino Masnata, sia pure con un manifesto – Il teatro Visionico (1920) – che allargava il programma e portava un settore delle “piéces” sintetiche dal filmico al visionino, e la cui peculiare caratteristica era la presenza di un personaggio “creante” (dal pensiero, dalla memoria) e di personaggi “creati” (evocati o formati dalla memoria , dal pensiero del “creante”). Masnata pubblicò nel 1926 i suoi lavori “visionici” nel volume Anime sceneggiate; in seguito si occupò anche di lavori specificamente destinati alla radio (che Martinetti e i futuristi chiamano “radia”).

Gli Anni Venti videro arricchirsi l’attività teatrale di Martinetti e gli estri e le trovate del Teatro della Sorpresa (manifesto del 1922) di Cangiullo e dello stesso Martinetti, basato principalmente sul “gag” (o, come si diceva nella Commedia dell’Arte, sulle “invenzioni et cationi”, cioè i “lazzi”). La commedia itinerante di De Angelis, all’insegna del “Teatro della Sorpresa”, ebbe il merito di portare il teatro d’avanguardia in tutta Italia, anche nelle piazze della provincia teatralmente meno evolute. Un teatro stabile d’avanguardia come quello degli Indipendenti, invece, non si qualificò come prevalentemente futurista; anzi il suo fondatore, Anton Giulio Bragaglia, tenne a seguire e presentare tutte le correnti artistiche, dal dadaismo all’espressionismo, dal surrealismo all’immaginismo e al novecentismo bontempelliano; però dette largo spazio agli autori futuristi, e soprattutto si avvalse dell’opera degli scenarchitetti futuristi (Marchi, Trampolini, Panneggi, Paladini, Fornari, Valente).

L’attività teatrale di Enrico Trampolini era cominciata nel 1915 con uno scritto pubblicato nella rivista messinese La balza, dove è il primo intervento futurista nella problematica del rinnovamento scenografico. Trampolini vi sostenne la scena dinamica in contrapposizione alla tradizionale scena statica. Fu il Teatro della Pantomima Futurista, creato con Maria Ricotti al Théàtre de la Madeleine di Parigi nel 1927, che gli dette la possibilità di svolgere la più appassionante delle sue attività teatrali, quella che lo impegnò globalmente e gli permise di tradurre praticamente le sue teorie, dopo gli scritti critici e di poetica, dopo l’esperimento del Teatro del Colore, il Teatro Magnetico e le innumerevoli realizzazioni col Teatro Sintetico, con Pirandello, con Martinetti, con Bragaglia, e nei massimi teatri europei, tra cui due di Praga: il Nazionale e lo Svandovo. Nel Teatro della Pantomima Futurista ebbe per collaboratori Luigi Russolo col suo Rumorharmonium (sintesi di rumori) e con gli “archi enarmonici”, nonché Silvio Mix (che era stato l’autore delle musiche dell’Angoscia delle macchine, di Francesco Balilla Pratella e Franco Casavola). Autori dei testi erano Luciano Folgore, F. T. Martinetti (Cocktail), Luigi Pirandello, Vittorio Orazi. La musica della Salamandra di Pirandello è di Massimo Bontempelli.

Intrattenendosi su Pirandello e Martinetti, il futurista Piero Bellanova mi lasciò questa testimonianza: “Ti posso assicurare che i rapporti tra Pirandello e Marinetti erano improntati a molta considerazione e comprensione. Io accompagnai talvolta Martinetti alle “prime” all’Argentina. Erano gli anni Trenta. Assistevo con discrezione negli intervalli ai colloqui con i quali i due personaggi cordialeggiavano o si scambiavano impressioni d’occasione. Assistevano di solito allo spettacolo in due palchetti contigui, il quarto e il quinto di platea a destra, guardando il palcoscenico”.

Pirandello, attento a tutti gli esperimenti scenici più moderni, per esempio a quelli di “luce psicologica”, non restò indifferente, fin dal 1915, di fronte al Teatro Sintetico di Martinetti, Corra e Settimelli: un teatro sconcertante, limitato e al tempo stesso illimitato, accettato, nella sua epoca, da pochi, discusso e avversato, o volutamente ignorato, da molti, tanto che quasi ogni serata teatrale futurista finiva in un parapiglia. E’ da ritenere che dagli “atti-attimi” di quella nuova maniera di fare teatro, avversaria dei drammoni in cinque atti con presentazione dei personaggi, scene madri, epilogo, egli attinse più spesso che non si pensi, per spunti ora narrativo-descrittivi, ora anche material-macchinistici (che dalla esile polla di Lotta di fondali potrebbero discendere all’ “arsenale delle apparizioni” dei Giganti della montagna), ora fulmineamente drammatici, e tanto che se ne trovano tracce nelle sue stesse novelle.

L’atto-attimo Le mani di Martinetti e Corra mi pare particolarmente indicativo. E’ una sorta di teatro di burattini, dove compaiono soltanto mani maschili e femminili sporgenti al di sopra di una tenda tesa ad altezza d’uomo per tutta la larghezza del boccascena. Si vede una mano infantile che fruga in un naso, una virile stretta di mano, una preghiera, una stretta voluttuosa. Poi mani languide inanellate, mani che scrivono, mani che lottano, graffiano, martellano, salutano, minacciano, sparano, sono ammanettate e fanno gesti di beffa.

Il tema delle Mani è caro a Martinetti, a Trampolini, a Depero, a Covoni. Lo assumo perché vedo annunciato il monologo “Novella per un anno”, detto, dallo stesso Pirandello, “La mano del malato povero”, nel repertorio del Teatro d’Arte del 1925.
Pirandello porta, dunque, questa mano nel suo mondo. E’ il primo caso cui ho voluto riferirmi, ma che mi sembra anche il più tipico. Dimostra che Pirandello continua ad assorbire, afferra, assimila voracemente, non perde occasione, da tutto ciò che prova, legge, vede. Ma, sia ben chiaro, se l’occasione è offerta dal futurismo, non è perché egli stesso voglia fare del futurismo. Questo mai. Semmai per acquisire un’esperienza riverbalizzandola, risorgendo una serie di sensazioni che gli giungono – questa volta – da un testo di teatro sintetico, sia da considerare davvero testo, o semplice sequenza di “gags”, che comunque voglio presumere vengano qui suggerite a lui dai futuristi.

Aggiungo che, sia la novella La mano del malato povero di Pirandello, che l’atto Le mani di Martinetti, sono dello stesso anno: 1915.
La grande stagione di Pirandello non è quella del primo futurismo, quindi – almeno fino al primo dopoguerra – non vi sono contrasti da registrare. E poi l’atteggiamento di Martinetti verso Pirandello è sempre di grande rispetto. Le critiche o misurazioni a lui dedicate sono favorevoli.

Un contatto diretto con Pirandello è ricercato dai futuristi siciliani, quando insorge nel 1923 la polemica su Il teatro greco di Siracusa ai giovani siciliani! Secondo il titolo del libro edito da “la Balza futurista” nel 1924, autori Guglielmo Jannelli e Luciano Nicastro. Viene qui sostenuta la necessità di favorire meglio la conoscenza di nuovi commediografi, con previdente azione che non dovrebbe essere soffocata dalle pur meritorie riprese dei “classici”.

Che cosa chiedono i futuristi siciliani, e fin dall’aprile 1921? Vogliono un dramma moderno, pittoresco (nel senso che utilizzi il fascino delle colorazioni plastiche), siciliano; che sia l’equivalente moderno della tragedia greca, senza avere nulla a che vedere, spiegano, con i drammi di Sem Benelli.
Gli aderenti al Manifesto sono, con Buzzi, Pratella, Carli, Cangiullo, Corra, Russolo, Volt, Trampolini, Casavola, Balla, Marchi, Mix, Mazza, i seguenti futuristi siciliani: Federico De Maria, Vann’Antò, Carrozza, Vasari, Sortino, Raciti, Etna, Cimino, Aliotto, Calderone, Attardi, Fiandaca, Raimondi. Il concorso avrebbe dovuto essere bandito dal Comitato delle Rappresentazioni classiche. La commissione giudicatrice, dice il pamphlet, “non risulti composta da persone negate al senso dell’arte e della novità. E’ necessario che abbia elementi di garanzia per i concorrenti”. Deve risultare composta da due elementi a scelta del Comitato, da F. T. Martinetti, e, a garanzia suprema, da Luigi Pirandello, un “siciliano non sospetto ai passatisti e che noi futuristi stimiamo”.

Alcuni anni dopo troviamo Pirandello coinvolto, con Bontempelli, in un’iniziativa futurista. Enrico Trampolini fonda a Parigi, con Maria Ricotti, il Teatro della Pantomima Futurista. Il repertorio comprende opere di futuristi e “novatori”. I futuristi sono Martinetti, Russolo, Folgore, Casavola, Mix, Pratella. Tra i “novatori” troviamo Casella, il Jean Cocteau dei Mariés de la Tour Eiffel, Bontempelli e Pirandello. Di quest’ultimo viene rappresentata la pantomima La Salamandra con scene di Trampolini e musica di Bontempelli. Possono le proposte avanzate apparire sufficienti a prospettare una collusione tra Pirandello e il futurismo?
Certamente no, anche se non si è voluto arrivare ad una conclusione del genere: bensì sottolineare l’attenzione di Pirandello ad ogni forma progressiva e modernista.

Significativo, tuttavia, sembra il giudizio che di Pirandello dà Martinetti al momento della morte del siciliano: “Al di fuori di ogni filosofia del pessimismo più o meno caduca, Luigi Pirandello portò alla massima efficacia tutte le abilità, destrezze e astuzie del palcoscenico, riuscendo unico a drammatizzare in modo palpitante e convincente le tesi psicologiche le più astruse, le più funebri e le meno piacevoli. In ciò consiste l’originalità assoluta di questo prodigioso dialetto siciliano, punto d’incrocio del verghianismo, del dannunzianesimo e del futurismo”.